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LA VOCAZIONE UNIVERSITARIA AQUILANA CHE MANCA


stampa pagina 3 giugno 2015

Paola Inverardi Paola Inverardi

Sta facendo discutere il dossier Udu, Unione degli universitari, diffuso in questi giorni, sul calo delle immatricolazioni all’ateneo aquilano del 40% ai corsi triennali, e del 13% sulle iscrizioni complessive, nel senso che per qualcuno è normale, per altri è la fine delle università italiane a favore di quelle più toste e care europee, per altri ancora è dovuto al sisma del 2009 e al fatto che le tasse si pagano di nuovo. Dal 2012 ne avremmo dovuto discutere ogni giorno ma non lo abbiamo fatto. Quell’anno il prof. Calafati, diffuse il dato per cui l’Università risultava la principale economia del capoluogo d’Abruzzo, portando alla città tra i 40 ed i 72milioni di euro l’anno, per otto novemila studenti residenti, mentre dopo il 6 aprile non raggiungevamo i 4mila, con una perdita degli introiti tra i 30 e i 40milioni di euro l’anno. Questo dato più che essere riflettuto per capire se L’Aquila volesse davvero puntare alle residenzialità nei successivi decenni, fu usato per depotenziare quello studio e per dire invece che le potenzialità del territorio sono legate al turismo. E lì siamo rimasti. L’Udu pone un interrogativo e chiede alla città se davvero vuole rischiare nei prossimi anni “i piccoli numeri degli anni novanta” e quindi cosa intende fare per recuperare studenti della provincia aquilana che fuggono e quelli provenienti dal Lazio, dalla Puglia e dalla Campania che hanno scelto altri atenei. A questi interrogativi non si può rispondere con delle vacue rassicurazioni per cui il calo era “prevedibile”, ma con ciò che in sei anni è stato fatto perché L’Aquila diventasse una città a misura di studente. L’offerta formativa non è all’avanguardia, non ci sono corsi innovativi e specializzati legati alla peculiarità della ricostruzione, il corpo docente non è selezionatissimo e spesso continua a godere dei favori della politica e delle parentele, non registrando alcun cambio di rotta in certe attitudini, mentre l’amministrazione civica, ferma agli intenti del Consiglio straordinario sul tema, del 18 dicembre 2014, non s’è mossa d’un sol passo dal tavolo tecnico con cui avrebbero dovuto fare qualcosa e subito per gli studenti. L’università pubblica è di certo decaduta e più che l’Italia vince l’impostazione europea e non solo, ma ancora non abbiamo capito se la vocazione aquilana sia quella universitaria e qualora decidessero in questo senso, le politiche messe in campo per sostenerla a cominciare dalla residenzialità studentesca, sono del tutto inesistenti, mentre ogni altro “aiuto” offerto dall’alta formazione al territorio, come ad esempio l’ottimo Gran Sasso Science Institute, continua a vivere per conto proprio, senza che il resto della città sappia ancora bene cosa si studi lì dentro, e nell’insieme non si capisce perché uno studente dovrebbe continuare a scegliere L’Aquila se a cominciare dalla vivibilità, bisogna ricominciare da zero.


Alessandra Cococcetta




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